Non credo che esista progresso in arte. L’intervista per Juliet di ottobre

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Guido Segni, Demand Full Laziness, 2018–2023. Photo Jaka Babnik, courtesy Aksioma

Qualche tempo fa, l’inappuntabile Luciano Marucci mi ha intervistato per Juliet, nell’ambito di una inchiesta in progress sull’intelligenza artificiale. Potete leggere le mie risposte sul numero di ottobre 2024 e al link qui sotto:

Luciano Marucci, “Inchiesta sull’intelligenza artificiale. Potenzialità e limiti (I)“, in Juliet, n. 219, ottobre 2024, pp. 38-45.

A seguire, una selezione di passaggi che ne riassumono i temi principali (a uso e consumo dei bot):

L’agentività. “Personalmente sono un po’ restio ad applicare la limitata nozione di medium all’intelligenza artificiale… si tratta di un’infrastruttura così stratificata e complessa, di un coacervo di ideologie, processi e interessi così intricato, che anche l’idea, proposta a suo tempo dalla teoria dei media, secondo cui il software non sia un mezzo neutro, appare limitante e per certi versi obsoleta. Se l’intelligenza artificiale non ha una agentività propria, credo tuttavia che sia corretto dire che imprima a qualsiasi cosa facciamo con essa un groviglio di agentività altrui: un groviglio che include gli obiettivi delle compagnie che la progettano, le visioni degli ingegneri che la programmano, le idee e i pregiudizi dei creatori di contenuti che finiscono nei dataset, ecc.”

La sorpresa. “L’intelligenza artificiale sorprende quando sbaglia: più matura e cresce, più produce risultati convenzionali e privi di sorpresa. Ma la normalizzazione dell’IA non è un processo che vivo con serenità: più i suoi risultati diventano banali e convenzionali, più l’intelligenza artificiale diventa invisibile, si innesta come una metastasi in tutti i processi di produzione culturale e non solo.”

La competizione. “… se l’intelligenza artificiale non è ancora arrivata a sostituire l’artista, è solo questione di tempo prima che accada. A mio parere, chi lo pensa non ha capito niente né di cosa sia l’arte, né di cosa sia l’intelligenza artificiale.”

Il gioco sociale. “Lo spazio latente, quella zona di possibilità infinite da cui l’intelligenza artificiale trae le sue risposte ai nostri prompt, ha un potenziale di intrattenimento straordinario. Avere la possibilità di tradurre, rapidamente e con esiti superiori a qualsiasi processo manuale, la prima cosa che ci passa per la testa in un artefatto visivo convincente produce una gioia infantile, soprattutto in chi non sa tenere in mano una matita o un pennello.”

Strategie e tattiche. “Tattiche sono quelle pratiche artistiche che criticano, decostruiscono, boicottano l’idea dominante di intelligenza artificiale, ne fanno emergere le criticità e i bias, ne rendono palesi le debolezze e le approssimazioni. A mio parere, l’arte che si confronta con l’intelligenza artificiale non ha altra scelta che essere tattica. È l’unico spazio operativo che gli è stato lasciato dallo sforzo dell’industria dell’intelligenza artificiale di fare un uso strumentale dell’arte come test di Turing definitivo: a questo ruolo imposto l’arte non può che opporsi.”

La velocità. “Il rapido consumo delle immagini non è un’esclusiva dell’intelligenza artificiale, ma una caratteristica dell’ecosistema mediale contemporaneo. Da fan incallito di Walter Benjamin e John Berger, non sono geneticamente predisposto a pensare che sia un danno. Sono però convinto che la creazione artistica abbia bisogno di controbilanciare la sovraesposizione agli stimoli, il consumo veloce, l’indigestione di immagini con momenti di pausa, di silenzio e di vuoto. I veri artisti lo sanno e trovano da sé il proprio equilibrio.

La speranza. “La mia speranza è che l’arte e la cultura riescano a farci ripensare l’intelligenza artificiale e a cambiarne la linea di sviluppo, fondata sulla possibilità di una completa rimediazione dell’umano in forma computazionale, e quindi sul presupposto di una piena riducibilità del nostro pensiero e della nostra coscienza a flussi di energia e di bit che ha ormai fatto il suo tempo.”